La rivista Mangiavino celebra il compleanno di Marco Felluga

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La rivista Mangiavino celebra il compleanno di Marco Felluga

La paura fa novanta!

Alexander Fleming, lo scopritore del primo antibiotico, disse: “La penicillina cura, ma il vino rende la gente felice”.

Marco Felluga, novant’ anni portati con lucidità e memoria di ferro, ha reso certamente felici molte persone con i suoi vini strepitosi.

Viene giustamente considerato da chi la storia la conosce bene uno dei grandi patriarchi del vino friulano,  insieme al fratello Livio scomparso poche settimane fa all’ età di 102 anni. Fratelli inossidabili, grazie a una famiglia di acciaio originaria di Isola in Istria, all’epoca italiana, che nel 1921 si trasferisce a Grado dove nel 1927 nasce Marco, ultimo di una grande alternanza tra i nomi Giovanni (il papà e il bisnonno) e Marco (il nonno). Gli chiedo: come mai non hai chiamato tuo figlio Giovanni? “Perché non andava più di moda” mi risponde ridendo!

La famiglia trasportava il vino con le barche verso Grado, vino che produceva per il commercio e per la trattoria di sua proprietà. Ma è dopo l’ insediamento del papà Giovanni a Grado che si incomincia a guardare verso il Collio e il Friuli in generale come terra dove produrre grandi vini ed espandere la propria attività.

“Da mio padre ho appreso tutto – ci racconta – una volta divenuto il capo di una dinastia che produceva vino già da tre generazioni. Mi ha insegnato la passione, la tecnica, il lavorare seriamente, l’ onestà, la dedizione al lavoro.”

Con capacità e vista lunga e dopo una attività comune, aggiunge: “Con Livio andavamo d’ accordo ma le aziende non funzionano quando si è in troppi”. Così nel 1956 i fratelli si dividono e fondano le omonime aziende.

In questo Marco è rimasto coerente quando, successivamente, ha fatto la stessa cosa lasciando ai tre figli Roberto, Alessandra e Patrizia aziende separate e distinte.

Il patriarca ancora oggi è un vulcano in eruzione, capace di analisi sul futuro del vino e dei mercati internazionali da far invidia ai bocconiani, attento a non dire mezza parola fuori posto anche se alla sua età potrebbe certamente permetterselo.

Partito dalla celebre scuola di Conegliano ha capito subito le potenzialità del Collio con il suo formidabile “terroir” e ha iniziato a produrre dei bianchi di altissima qualità. Ma fare buon vino non basta, bisogna saperlo presentare e soprattutto saperlo vendere. In questo è sempre stato un maestro: presente sui mercati internazionali e nel giro di amicizie importanti coltivate con simpatia e signorilità.

La storia dell’ etichetta di Russiz Superiore, vissuta assieme a Walter Filiputti e Angelo Solci, è nota ma vale la pena raccontarla. È il 1968  e si presenta dal famoso architetto Coppola che per diletto aveva già realizzato alcune etichette molto famose. L’ architetto, che evidentemente pensava di essere interpellato per chissà quale grandiosa opera, si inalberò non poco e sdegnato gli chiese come mai si fosse permesso una simile impudenza. Al che Marco obiettò che lui era rimasto affascinato dalle sue etichette.

Per niente rabbonito rincarò la dose dicendo che lui aveva rapporti con il gran mondo del vino e chiamò Luigi Veronelli per informarsi su chi aveva di fronte. Non ci volle molto al più grande giornalista enogastronomico italiano per spiegare all’ altezzoso professionista che di fronte aveva uno dei più grandi (già allora) produttori italiani e così nacque l’ etichetta di Russiz Superiore.

I suoi vini hanno il carattere deciso della gente friulana: sinceri, trasparenti. Marco è un po’ come i suoi vini ma con in più la diplomazia e la prudenza di un uomo saggio e navigato. Non è facile da stanare fuori dai binari professionali.

Qualcosa viene fuori soprattutto tra i gusti personali e i ricordi di una vita: il pensiero come miglior ristorante provato all’ estero va a Paul Bocuse in Francia mentre la bevuta più memorabile sicuramente è quella all’ Enoteca Pinchiorri di Firenze. Tra i vini preferiti si berrebbe sempre il pinot bianco di Toros e poi grandi rossi come il Masseto, il Barbaresco di Gaja e un buon amarone di Masi, tanto per distribuire equamente le preferenze tra Toscana, Piemonte e Veneto.

“Ma il mio più grande divertimento – racconta con orgoglio – è stato quello di lavorare, sabato e domenica compresi. Ho lavorato tanto e mi sono divertito molto, non vedevo l’ ora di andare in cantina.”

Marco ha conosciuto in mezzo secolo tutti in Friuli Venezia Giulia ma ricorda con gratitudine il vecchio presidente Antonio Comelli che fece una legge sulla nuova viticoltura che le diede un impulso decisivo. La stessa cosa non si può dire della campagna sul Friulano di pochi anni fa che è stata un treno perso, proprio in un momento in cui la crisi italiana ha spinto tutti i produttori a vendere all’ estero.

Non si guarda solo indietro però. Un messaggio ai giovani che vogliono partire da zero: “Oggi è tutto molto complicato, difficile, estremamente competitivo. Ci vogliono amore, serietà, passione, umiltà. Doti che bisogna avere nel sangue e allora si potrebbe incominciare a fare qualcosa.”

Lo saluto pensando a che cosa sarebbe capace di combinare se avesse vent’ anni, ma forse li ha ancora!

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